mercoledì 11 febbraio 2015

Altri 10 indagati per l'Alaco. Coinvolte Sogesid e Nautilus.


Scatta la nuova operazione della Procura di Vibo e del Nas di Catanzaro. Si tratta di sette funzionari pubblici e tre imprenditori. Tra questi anche un ex commissario per l'emergenza ambientale. Formulate anche 16 richieste di rinvio a giudizio per il primo troncone dell'inchiesta: chiesto il processo anche per Sergio Abramo e Geppino Camo

VIBO VALENTIA - Non solo l'avvelenamento colposo delle acque destinate a migliaia di calabresi, ma anche una presunta truffa sui controlli che su quelle acque alcune società avrebbero dovuto fare per conto della Regione. È quanto ipotizzato dalla Procura di Vibo guidata da Mario Spagnuolo nell'ambito di "Acqua sporca 2", il secondo troncone dell'inchiesta condotta dal pm Michele Sirgiovanni che riguarda l'invaso artificiale dell'Alaco, un bacino gestito da Sorical che si trova sulle montagne delle Serre vibonesi e che era già stato messo sotto sequestro il 17 maggio 2012. I carabinieri del Nas di Catanzaro stanno notificando in queste ore 10 avvisi di garanzia a sette funzionari pubblici - tra cui alcuni in passato in servizio alla Regione Calabria - e a tre imprenditori ritenuti responsabili, a vario titolo, di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, avvelenamento colposo di acque, abuso d'ufficio, omissione d'ufficio e falso. I carabinieri del Nas hanno inoltre acquisito, nel corso di una perquisizione, documenti nei dipartimenti regionali Ambiente, Obiettivi strategici e Lavori pubblici, e in due società con sede a Vibo Valentia e Roma, la Nautilus e la Sogesid (società in house del ministero dell'Ambiente).
La prima tranche dell'inchiesta ha portato proprio in queste ore alla richiesta di rinvio a giudizio di altri 16 indagati tra funzionari pubblici e dirigenti Sorical. Tra questi anche il sindaco di Catanzaro Sergio Abramo che, come il suo predecessore Geppino Camo, è indagato in qualità di ex presidente del cda di Sorical. Dal procedimento escono invece molti dei sindaci che in un primo momento erano stati coinvolti nell'inchiesta.
L'invaso dell'Alaco, che serve quasi tutti i comuni del Vibonese e buona parte di quelli del Catanzarese, come emerso già dall'avviso di conclusione delle indagini, non era mai stato classificato correttamente. Invece che procedere alla classificazione delle acque del bacino, infatti, nel momento in cui l'invaso è stato esaminato nell'ambito del piano di tutela della Regione erano state analizzate le acque di due fiumare affluenti. In questo modo l'Alaco era stato classificato in categoria A3, «acque potabili previo trattamento fisico e chimico spinto, affinazione e disinfezione», secondo un'attribuzione che per Nas e Procura non corrisponde al vero.
Ma ci sono anche fondi pubblici dirottati nell'indagine "Acqua sporca due". In particolare sarebbero stati utilizzati diversamente i fondi originariamente destinati all'implementazione tecnico-organizzativa dell'Arpacal. A beneficiarne sarebbe stata un'azienda privata mediante lo svolgimento di una gara d'appalto gestita da un ex commissario per l'emergenza ambientale che, per questo, risulta tra gli indagati.


di Sergio Pelaia
da Corriere della Calabria dell' 11 febbraio 2015

giovedì 30 ottobre 2014

Bonifiche fantasma in laguna, riparte l’inchiesta: nuova raffica di indagati.


Questa mattina sono stati notificati 26 avvisi di garanzia: in cima all'elenco, i tre ex commissari delegati Paolo Ciani, Gianfranco Moretton e Gianni Menchini, già indagati nella precedente indagine, e Gianfranco Mascazzini, per anni direttore generale del ministero dell'Ambiente.


UDINE - Si erano inventati un'emergenza ambientale nella laguna di Grado e Marano, per ottenere i denari dello Stato e spartirseli tra loro: decine di milioni di euro a fronte di un inquinamento inesistente, al solo scopo di riempire le tasche di amministratori e imprenditori dal Friuli e dal Veneto a Roma, negli uffici del ministero dell'Ambiente, dove la truffa era stata concepita e da dove per dieci anni (dal 2002 al 2012) ha continuato a essere manovrata.
Due anni dopo lo scandalo delle bonifiche "fantasma" e la chiusura del Commissario delegato della laguna friulana decretato dall'allora premier Monti proprio alla luce del clamoroso bluff scoperto dalla magistratura udinese, è la Procura di Roma a riproporne il teorema e tornare alla carica con una seconda tornata di avvisi di garanzia: 26 quelli in notifica da stamani, tra Nord Est e Capitale, con nomi e contestazioni vecchi e nuovi.
In cima all'elenco, i tre ex commissari delegati Paolo Ciani, Gianfranco Moretton e Gianni Menchini (politici i primi due, tecnico il terzo), già indagati nella precedente indagine friulana, e Gianfranco Mascazzini, per anni direttore generale del ministero dell'Ambiente.
Nei guai anche Giovanni Mazzacurati, l'ex presidente del Consorzio Venezia Nuova e della Tethis srl di Venezia travolto dalla bufera giudiziaria sul Mose, e i legali rappresentanti delle società ingrassate a suon di finanziamenti per appalti di opere considerate adesso inutili o mai realizzate: Raffaele Greco, della cooperativa Nautilus, di Vibo Valentia, Alberto Altieri e Guido Zanovello, dello studio Altieri spa di Thiene, Vincenzo Assenza e Fausto Melli, della Sogesid srl di Roma, società in house del ministero dell'Ambiente. E, ancora, Marta Plazzotta, dirigente dell'Arpa di Udine, Massimo Gabellini, alla guida della II Direzione dell'Icram (ora Ispra) e Silvestro Greco, direttore scientifico del medesimo istituto, e Antonella Ausili ed Elena Romano, dell'istituto Ispra (già Icram) di Roma, cioè degli organi deputati a certificare lo stato di salute della laguna.
Per due terzi degli indagati, il pm romano Alberto Galanti ha formulato l'ipotesi di reato dell'associazione a delinquere, finalizzata al falso e alla truffa ai danni dello Stato. L'ammontare della truffa, contestata in concorso a tutti nei periodi di rispettiva competenza, è stato calcolato in circa cento milioni di euro. Mascazzini e altri (Menchini e le due ricercatrici dell'Ispra in un caso, tre manager di Sogesid nell'altro) sono accusati anche di abuso d'ufficio, in relazione agli interventi di messa in sicurezza della Caffaro di Torviscosa e al distaccamento presso il ministero di personale della Sogesid.
Un ulteriore filone riguarda le cosiddette "transazioni ambientali", cioè il pagamento di ingenti somme di denaro che numerosi imprenditori con immobili nel Sito d'interesse nazionale di Porto Marghera (tra cui l'Intermodale Marghera e Fincantieri) sarebbero stati costretti a scucire al ministero dell'Ambiente, che a sua volta li versava al Consorzio Venezia Nuova, per alimentare la struttura e per effetto delle quali l'obbligo di bonifica si trasferiva al dicastero stesso. Il quale, in tesi accusativa, non soltanto non vi avrebbe mai provveduto, ma avrebbe nel tempo incamerato qualcosa come più di 500 milioni di euro. Da qui, l'ipotesi del concorso in concussione a carico di Mascazzini e di suoi fedeli, oltre che di Mazzacurati.
Alle stesse conclusioni era sostanzialmente approdato già il pm di Udine, Viviana Del Tedesco, con la maxi-inchiesta culminata appunto nel 2012 nello smantellamento della struttura commissariale e nell'iscrizione sul registro degli indagati di decine di persone. A cominciare proprio dai commissari delegati e dai rispettivi staff, per i quali lo stesso magistrato aveva poi chiesto l'archiviazione. Chiusa la partita friulana, però, lo scorso marzo gli atti erano passati immediatamente ai colleghi di Roma. A chiederli era stato il procuratore capo in persona, Giuseppe Pignatone, secondo il quale l'indagine andava non soltanto ripresa, ma soprattutto estesa agli ambienti ministeriali.
Il risultato sono le quasi cento pagine scritte in questi mesi dai magistrati, ancora una volta al lavoro "in tandem" e che descrivono un sistema di finte rappresentazioni ambientali, di appalti milionari per lavori di carotaggio, analisi e bonifiche mai realizzati o semplicemente non necessari e di tangenti camuffate da transazioni ambientali.
Ad aggiungere elementi di prova all'inchiesta, oltre alla marea di intercettazioni effettuate nel corso dell'indagine, sono state le dichiarazioni raccolte da due testimoni "eccellenti": Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani Costruzioni (il grande accusatore dello scandalo sul Mose) e l'ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni.
Nell'informazione di garanzia sono rientrati anche i nomi dei soggetti attuatori che affiancarono i vari commissari delegati: come Dario Danese, Giorgio verri e Vito Antonio Ardone.
"Ripescato" anche Francesco Sorrentino, già ingegnere capo del Genio civile di Gorizia, in qualità di responsabile del Procedimento.
L'elenco degli indagati continua con Simone Fassina, dipendente della società Sviluppo Italia spa, distaccato al ministero dell'Ambiente, Andrea Barbanti, già responsabile di Thetis e consulente di Sogesid, Franco Pasquino e Giorgia Scopece, rispettivamente già commissario e dipendente di Sogesid, Maria Brotto, amministratore delegato di Thetis, Everardo Altieri, vice presidente dello studio Altieri. Nei guai, inoltre, Giampaolo Schiesaro, già avvocato dello Stato di Venezia.
Il sistema. Lui garantiva i fondi e loro, in cambio, distribuivano posti di lavoro e incarichi di consulenza ai suoi amici o a quelli segnalati dal politico di turno. E' un sistema clientelare basato su una fitta rete di collusioni tra l'ex direttore generale Mascazzini, un ristretto numero di società a lui vicine e alcuni esponenti della politica nazionale e regionale quello che emerge dalle carte dell'inchiesta sulla mala-gestione del Commissario delegato per l'emergenza socio economico ambientale della laguna di Grado e Marano.
Per pilotare il denaro pubblico a proprio piacimento e assicurarsi così “la supina ubbidienza di una corte di persone di fiducia”, Mascazzini si sarebbe avvalso di un duplice escamotage. Da una parte, ad assecondarne i piani sarebbero state le società in house al ministero dell'Ambiente (Sogesid e Sviluppo Italia) alle quali poteva assegnare le opere di cui il dicastero necessitava in assenza di gara (proprio per la loro natura pubblica), pretendendo di contro l'assunzione di persone da lui stesso individuate o indicategli dagli onorevoli, gli assessori e i ministri con i quali aveva intrallazzato. Il meccanismo sarebbe stato lo stesso messo a punto a Venezia, dove la presenza di un concessionario unico – il Consorzio Venezia Nuova – consentiva una gestione in proprio degli appalti.
Dall'altra parte, a garantire la disponibilità di “soldi sicuri e immediati” c'era il trucchetto delle transazioni ambientali. Ossia di uno strumento per rastrellare fondi dalle imprese che intendevano costruire sulle aree comprese nel Sin. Stando alle notizie raccolte dagli investigatori, per convincere le aziende a transare, alcuni funzionati ministeriali non avrebbero esitato a minacciare l'invio di ispettori e l'intervento di possibili altri fastidi burocratici su quelli o altri progetti.
Pressioni neanche troppo velate, insomma, finalizzate a indurre le aziende a non opporre resistenza alle richieste di denaro. Del ricorso a scorciatoie e metodi non proprio ortodossi gli inquirenti hanno avuto riscontro sia dalle intercettazioni, sia dalle testimonianze di persone (Baita, Orsoni e alcuni degli imprenditori sentiti) trascinate, talvolta loro malgrado, nel giro di Mascazzini.
A pagare le conseguenze della truffa e del mancato utilizzo delle erogazioni statali per gli scopi per i quali erano stati stanziati (la bonifica delle uniche sezioni di laguna realmente inquinate) sarebbe stata anche la Regione Friuli Venezia Giulia. Ossia l'ente tenuto a finanziare per oltre la metà l'attività commissariale: sia gli stipendi a tutti i componenti della struttura (fino a 30-40 mila euro l'anno, a fronte della partecipazione a qualche riunione) e ai consulenti incaricati da Mascazzini, sia le inutili attività preliminari di sistematica caratterizzazione e analisi dei sedimenti, ogniqualvolta si procedeva ai dragaggi dei canali lagunari, sul falso presupposto che fossero inquinati.
“Come avveniva su tutto il territorio nazionale – scrive il pm Galanti –, la mancata soluzione dei problemi era funzionale al mantenimento del meccanismo emergenziale e delle sue esigenze”. Così per la laguna di Grado e Marano. “Una volta ottenuti i finanziamenti – è ancora la tesi della Procura -, per la bonifica del sito nulla veniva destinato. I soldi si perdono in mille rivoli, costituiti da incarichi di progettazioni, carotaggi continui, dragaggi. Ma nulla a che vedere neanche lontanamente con attività di bonifica”. L'esempio più lampante, in tal senso, è quello riferito alla gestione Moretton (2006-2009).
“I fondi vengono dirottati verso altre opere di ripetitiva caratterizzazione dei canali navigabili – continua il pm -, dragaggi e finanziamento della struttura commissariale, oltre che di tutti i soggetti che gravitavano nell'orbita del ministero, in qualità di consulenti, ovvero negli organismi pubblici di controllo che svolgevano varie attività di monitoraggio, tanto costose, quanto fasulle”. L'obiettivo era per lo più quello di fare risultare concentrazioni di mercurio metilato superiori a quelli reali. La truffa sarebbe cominciata proprio dall'ingigantire un'emergenza ambientale che gli inquirenti ritengono limitata alla sola area dello stabilimento industriale ex Caffaro e al connesso canale Banduzzi.


di Luana De Francisco
da Il Messaggero Veneto del 29 ottobre 2014

sabato 12 marzo 2011

Tante gabbie abbandonate in mare. Denunciate 3 persone per vari reati

Gabbie per l'allevamento di pesce usate e poi abbandonate nel mare. Da anni galleggiano nel bel mezzo del Golfo di Sant'Eufemia, tutte arrugginite, non solo deturpando il paesaggio ma creando gravi pericoli per i naviganti. Nessuno però s'era mai preoccupato di farle rimuovere come adesso hanno fatto il procuratore della Repubblica Salvatore Vitello e il sostituto Luigi Maffia.
L'indagine è stata curata dalla Capitaneria di porto comandata da Luigi Piccioli, intervenuto ieri in una conferenza alla procura con l'ufficiale Agazio Tedesco ed i suoi uomini.
Lo "spettacolo" è stato mostrato in un video dalla guardia costiera: c'è una specie di "octopus" in ferro al largo del Lido del Finanziere che serviva a contenere tonni rossi, vicino al pontile ci sono tre grandi gabbie d'acciaio dove si allevavano spigole ed orate, e verso sud in direzione Vibo c'è un grosso tubo che fuoriesce da un'altra di queste installazioni. Si tratta di impianti di acquicoltura dismessi da tempo, per i quali però adesso dovranno rispondere i titolari delle aziende Ora Ora Maricoltura, Nautilus e Ittisud. Si tratta di aziende che avrebbero ottenuto finanziamenti dall'Unione europea su cui sono in corso indagini finanziarie da parte della procura. Sotto sequestro è finito anche il pontile pericolante, costruito dalla Sir negli anni Settanta con grossi tubi vuoti che in quarant'anni il mare ha consumato.
«Se per le gabbie in mare abbiamo individuato i responsabili, chi è il titolare del pontile?», chiede il procuratore Vitello. Che insiste sulla sicurezza della navigazione: «Quando il mare è un po' alto è difficile vedere queste strutture galleggianti, che diventano perciò molto pericolose». Per il comandante Piccioli i costi per rimuoverle non sono elevati.

di v. l.
da "Gazzetta del Sud" del 12/03/2011

giovedì 10 febbraio 2011

Piano triennale delle Opere Pubbliche: il Pd incalza... e la maggioranza lo segue

Opere pubbliche, marciapiedi, cento giorni, contratto di quartiere, il nuovo sito, il sito nuovo, fondi per l'alluvione. A chiamare è palazzo "Luigi Razza", dove all'ordine del giorno c'è il primo comandamento .... convocare conferenze stampa.
E se di "peccatori", in questo senso, non ce sono, a voler scagliare la pietra sono i consiglieri d'opposizione che sugli inviti in sala Giunta e nella sala consiliare hanno qualcosa da ridire. In particolare, Marco Talarico, Gioele Pelaggi, Daniele De Sossi e Giovanni Russo esprimono la propria «meraviglia per le continue ed incessanti conferenze stampa dell'assessore Modafferi in linea con le mirabolanti favole che giornalmente l'Amministrazione D'Agostino racconta ai vibonesi».
Insomma, il dito è puntato contro l'assessore ai Lavori pubblici che «non pago – spiegano – del successo elettorale del padre che gli ha fruttato la poltrona di assessore ai Lavori pubblici, continua imperterrito nell'annunziare alla attonita popolazione una serie di interventi che l'incredibile amministratore non ha assolutamente determinato ma semmai ereditato dalla passata Amministrazione senza che si abbia avuto la capacità di attrarre ad oggi nuovi finanziamenti per realmente caratterizare un vero piano triennale per le opere pubbliche».
Senza se e senza ma, quindi, l'opposizione affonda e ritiene «imbarazzante» quello che viene definito, «per come rilevato – proseguono Talarico, Pelaggi, De Sossi e Russo – da molti consiglieri di maggioranza, un "mal riuscito" copia e incolla del precedente». Critiche che si fanno particolareggiate nella definizione «dell'approssimazione nella presentazione dell'importante documento anche nella parte in cui – chiosano – venivano indicati Rup non più in servizio. Ridicola – proseguono – nella lettura delle schede l'indicazione degli inizi lavori con data del 2009 da terminarsi sempre in base alle miracolose capacità ed esternazioni del novello assessore, al III trimestre del 2010». Quanto a prove di «inadeguatezza» per il gruppo del Pd, poi, l'esempio è offerto dalla riunione della III Commissione «presieduta – spiegano – dal consigliere Silvaggio che nel corso di solo 3 sedute ha licenziato la pratica che pertanto ora dovrà passare in Consiglio comunale».
Non ci sono scuse e altre chance, insomma. E a non fornire alibi per i consiglieri di opposizione sarebbe anche la stessa maggioranza, dove alcuni «consiglieri – aggiungono infatti – fra i quali Giannini e Lombardo hanno evidenziato gravissime anomalie nell'approvando Piano al punto di votare contro lo stesso. Ed, infatti, molti consiglieri, messi alle strette sulla necessità di licenziare senza approfondimento e confronti, fra i quali la vexata quaestio della scuola Media di Vibo Marina, hanno inteso con dichiarazione di voto, censurare il cosiddetto nuovo Piano con pesantissime quanto ponderate motivazioni». Uno scontro fotografato dall'opposizione e che si sarebbe acuito proprio nella riunione di ieri della III Commissione «allorquando – spiegano – il presidente Silvaggio, alla richiesta scritta dei consiglieri del Gruppo del Pd di ottenere copia del verbale della seduta del 7 febbraio, inizialmente non ha inteso aderire a tale richiesta. Alla fine della seduta – aggiungono – preso atto dell'atteggiamento di Silvaggio un nutrito gruppo di consiglieri comunali, tra i quali molti di maggioranza, ha inteso scrivere sia al Sindaco che al presidente del Consiglio affinchè preso atto del malfunzionamento della Commissione si proceda al ripristino del normale funzionamento».

di s. m.
da "Gazzetta del Sud" del 10/02/2011

Mazzeo sospeso da consigliere comunale

Il pm Santi Cutroneo chiede la convalida dei provvedimenti cautelari. Stamane gli atti sul tavolo del gip

Il decreto di sospensione adottato dal prefetto Luisa Latella è arrivato all'indomani del blitz dei carabinieri nel Servizio veterinario dell'Asp. Ieri, infatti, così come prevede il Testo Unico sugli Enti locali il prefetto ha disposto la sospensione, dalla carica di consigliere comunale, del dott. Mario Mazzeo, professionista fra i veterinari finiti ai domiciliari per assenteismo.
Il decreto oltre che al diretto interessato è stato notificato al sindaco Nicola D'Agostino e al presidente del consiglio comunale Giuseppe Mangialavori. Dovrà ora essere l'assemblea di palazzo "Luigi Razza" – all'interno del quale Mazzeo è capogruppo del Pdl – nella prima seduta utile a procedere con la surroga. Al consigliere Mazzeo potrebbe, dunque, subentrare Nestore Colloca primo dei non eletti nella lista del Pdl. Martedì comunque è in programma la riunione dei capigruppo e in quella sede sarà decisa la data del Consiglio.
Intanto nella giornata di oggi il pm Santi Cutroneo trasmetterà al gip gli atti con la richiesta di convalida degli arresti nei confronti dei dieci dipendenti del Servizio (sei veterinari e quattro amministrativi) sorpresi in flagranza di reato e per questo posti ai domiciliari. Nei loro confronti non ci sarà la direttissima.
L'accusa che viene loro contestata è di truffa aggravata ai danni dello Stato e falsità ideologica. Analoghi reati i carabinieri contestano ad altri sei dipendenti dello stesso Settore che sono stati denunciati a piede libero e le cui posizioni sono attualmente al vaglio degli investigatori dell'Arma. Inoltre per i dipendenti sorpresi dal blitz in flagranza di reato i commissari dell'Azienda sanitaria provinciale hanno disposto la sospensione momentanea, così come previsto dal contratto di lavoro, a seguito della comunicazione dei nominativi da parte della Procura e predisposto gli atti deliberativi.
A metà dicembre a fare scattare l'inchiesta – condotta dai carabinieri della Stazione e coordinata dalla Procura della Repubblica – erano state le numerose segnalazioni prevenute sul malfunzionamento del Servizio veterinario dell'Asp. Per circa due mesi i dipendenti della sede del capoluogo (complessivamente 31, 6 dei quali in servizio all'Ufficio di Spilinga) sono stati pedinati e controllati a distanza anche attraverso alcune telecamere installate all'interno del Servizio. E proprio dai filmati è emerso che a turno un dipendente, all'ora di entrata, provvedeva a timbrare i badge di altri, arrivando a far passare nella macchinetta marcatempo dagli otto ai dieci cartellini. Poi le schede venivano riposte su di un armadio e lasciate a disposizione del "turnista" dell'indomani. Oltre al dott. Mazzeo, sono stati sorpresi in flagranza di reato altri cinque veterinari: la dott. Chiarina Cristelli, il dott. Domenico Cocciolo, il dott. Domenico Piraino, il dott. Antonio Teti e la dott. Stefania Mazzeo. Con loro anche gli impiegati: Enzo Carnovale, Giuseppe Parisi, Giuseppe Loiacono e Maria Loreta Parisi. Sei invece i dipendenti denunciati a piede libero, nell'ambito dell'operazione denominata "Zuzù".

di Marialucia Conistabile
da "Gazzetta del Sud" del 10/02/2011

mercoledì 9 febbraio 2011

Vibo Valentia: ASP, 10 arresti per assenteismo a veterinaria

Facevano shopping nell’orario di lavoro

Vibo/ Blitz dei Carabinieri negli uffici del servizio veterinario dell’Asp. Truffa aggravata e falsità ideologica è l’accusa mossa nei confronti di 10 persone

VIBO VALENTIA. Truffa aggravata e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale è l’accusa mossa nei confronti di 10 persone arrestate, dai Carabinieri della compagnia di Vibo Valentia, in seguito al “blitz” antiassenteismo attuato ieri mattina negli uffici del servizio veterinario dell’Asp. Si tratta di 8 veterinari e due impiegati. Altre sei persone sono indagate. Gli arrestati sono Mario Mazzeo, 61 anni, medico veterinario, consigliere comunale e capogruppo del Pdl al comune di Vibo; Chiarina Crispelli, 47 anni; Enzo Carnovale, 54 anni; Domenico Cocciolo, 46 anni; Giuseppe Parisi, 56 anni, Domenico Piraino, 59 anni; Stefania Mazzeo, 46 anni; Maria Loreta Parisi, 54, impiegata; Giuseppe Loiacono, 61 anni, pure impiegato. Tutto ha avuto inizio quando i militari della Stazione Carabinieri di Vibo Valentia e del N.O.R.M. hanno rilevato difficoltà nel rintracciare gli oltre 31 dipendenti tra veterinari ed impiegati in forza all’A.S.P. del capoluogo ed hanno deciso di vederci chiaro. Gli uomini della Benemerita hanno piazzato dentro gli uffici del settore veterinaria del capoluogo una serie di telecamere per monitorare le entrate e le uscite dei medici che, inspiegabilmente, poco dopo le 8 di ogni giorno, si allontanavano al posto di lavoro, nonostante risultassero in servizio. Per oltre due mesi i Carabinieri, sotto la direzione della Procura della Repubblica del Tribunale di Vibo Valentia, hanno seguito i movimenti di tutti gli impiegati pubblici, pedinandoli con discrezione nei loro vari spostamenti dalle 8 del mattino fino a sera inoltrata. Gli uomini dell’Arma hanno così scoperto che l’assenteismo era e una consuetudine per ben 16 dipendenti su 31 in forza al settore e raggiunto un tale livello di organizzazione da arrivare addirittura a prevedere delle vere e proprie turnazioni per la timbratura dei cartellini. I Carabinieri hanno accertato che i vari dipendenti si erano organizzati in maniera tale che ogni giorno uno di loro provvedeva a vidimare anche 8 o 10 cartellini marcatempo per i propri colleghi, nascondendoli poi su di un armadio dell’ufficio, lontano da occhi indiscreti, dove il turnista del giorno dopo avrebbe provveduto a recuperarli per provvedere a registrare le altre presenze. Un metodo che consentiva ad alcuni di doversi recare a lavoro solo una volta alla settimana o anche meno e di poter tranquillamente attendere ai propri impegni personali senza dover subire il vincolo degli orari di lavoro. Addirittura si è accertato il caso di due coniugi che si erano organizzati in maniera tale che uno solo di loro si presentava a lavoro, provvedendo a timbrare il badge del consorte che, tranquillamente, poteva attendere alle faccende domestiche percependo lo stipendio pubblico senza nemmeno dover uscire di casa. Gli investigatori, per settimane, hanno documentato l’atteggiamento di dipendenti che uscivano di casa al mattino per fare la spesa, accompagnavano i figli a scuola, facevano shopping, ristrutturavano le case al mare in vista della bella stagione oppure passavano intere mattinate nei bar del capoluogo a discutere con gli amici, il tutto a spese dei contribuenti che invano li attendevano a lavoro. Praticamente nessuno era presente in ufficio e decine di utenti attendevano senza speranza per giorni di poter parlare con qualche veterinario. Oggi gli uomini dell’Arma, nascosti nei pressi del servizio veterinario dell’Asp e davanti alle abitazioni dei dipendenti assenteisti hanno atteso che scoccasse l’ora della timbratura. Quindi sono entrati in azione sorprendendo in flagranza di reato 10 dipendenti che si erano allontanati senza autorizzazione. Altri 6 dipendenti sono stati denunciati a piede libero. Per tutti l’accusa è di truffa aggravata ai danni dello Stato e falsità ideologica.

da "Il Giornale di Calabria" del 09/02/2011